1968 by Marcello Flores & Giovanni Gozzini

1968 by Marcello Flores & Giovanni Gozzini

autore:Marcello Flores & Giovanni Gozzini [Flores, Marcello & Gozzini, Giovanni]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Biblioteca storica
ISBN: 9788815339348
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2018-09-14T22:00:00+00:00


Con 7.000 partecipanti in rappresentanza di 171 stati e circa 800 Ong, la Conferenza di Vienna è una testimonianza eloquente di come, a venticinque anni da quella di Teheran e a quarantacinque dalla Dichiarazione universale, la cultura dei diritti umani si sia diffusa su scala globale. Come abbiamo detto nel capitolo II, nemmeno la fatidica scelta di rifiuto della violenza compiuta da Gorbačëv nei mesi cruciali della crisi del blocco sovietico può dirsi estranea a questa diffusione. L’aspetto forse più importante – sul quale si misura meglio il progresso compiuto rispetto alla Conferenza del 1968 – riguarda la piena collaborazione paritetica tra governi e Ong, che corrisponde alla crescita nella teoria e nella pratica di una «società civile globale»[41].

Naturalmente tra il dire e il fare rimane sempre di mezzo il mare. Malgrado la retorica ufficiale e i risultati indubbi della Conferenza di Vienna, la realtà dei diritti umani negli anni Novanta appare ancora drammatica e controversa. Il 1991 vede lo scoppio della guerra nei Balcani e una storica inglese che segue sul campo il conflitto, Mary Kaldor, intravede negli eventi cui assiste una trasformazione di natura delle guerre contemporanee[42]. Tra le «vecchie» e le «nuove» guerre esistono quattro differenze sostanziali. La prima è che quelle nuove sono conflitti civili provocati dal collasso di uno stato nazionale. La seconda è che il venir meno del monopolio statale dell’esercizio della forza produce una «privatizzazione della violenza», cioè la proliferazione di bande paramilitari protagoniste di uno stillicidio di scontri armati a macchia di leopardo, senza linee del fronte precise. La terza è che queste bande sono interessate alla conquista e al controllo di una ristretta porzione di territorio, nella quale esercitare un regno del terrore sulle popolazioni civili per trarne le risorse necessarie alla loro sopravvivenza: cibo, riparo, riscaldamento, combustibile e anche i soccorsi provvisti dagli organismi internazionali sotto forma di medicinali e altri generi di prima necessità. La quarta è che obiettivo delle bande paramilitari non è la pace, ma il mantenimento di uno stato di guerra ad oltranza che permetta loro l’esercizio del terrore il più a lungo possibile: hanno tutto da perdere da negoziati che potrebbero ridare voce alle popolazioni civili e far luce sui loro crimini. Le nuove guerre tendono cosi a trasformarsi in guerre endemiche «a bassa intensità» (con meno di 1.000 morti all’anno) perché le bande, essendo sostanzialmente simile il loro modus operandi, cercano per quanto possibile di non combattersi tra loro.

Non è difficile vedere come, dai Balcani dei primi anni Novanta alla Siria del 2015, il modello delle nuove guerre abbia fatto scuola nel mondo e si sia rapidamente affermato come la forma di conflitto armato di gran lunga prevalente. Alle nuove guerre le Nazioni Unite cercano di rispondere con interventi armati «umanitari»: corpi di spedizioni multinazionali con il compito di imporre il cessate il fuoco, proteggere i civili, facilitare negoziati di pace. I risultati sono a tutt’oggi altalenanti: fallimentari in Medio Oriente e in Afghanistan, più positivi in Somalia (ma solo dopo il disastro che nel 1993 porta al sanguinoso ritiro dei soldati statunitensi).



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